«Sapevo di soffrire, ma non capivo perché». INTERVISTA ad un’ex paziente GET
Le parole di una persona che ha vissuto sulla sua pelle il disturbo borderline di personalità, ora guarita e «riconsegnata al mondo»

Dal sito web della Clinica Santa Croce di Orselina (partner di progetto), pubblichiamo un’intervista ad un’ex paziente del GET, trattamento di cura per pazienti con disturbo borderline di personalità. Il metodo è stato ideato da Raffaele Visintini, coordinatore d’area per Psicologia Clinica e Psicoterapia e responsabile Day Hospital disturbi di personalità – Irccs San Raffaele (partner di Young Inclusion). Tra le azioni di progetto vi è anche l’applicazione di tale metodo in ambito di community care.
Come spiegherebbe a chi non lo conosce, ed utilizzando il suo punto di vista, il disturbo borderline?
Se dovessi descrivere come ho vissuto il disturbo, sulla base dell’esperienza direi: soffrire un’immagine sempre e fortemente imperfetta proiettata dagli altri (magari per esperienze in passato), basata su responsabilità enormi ed impossibili da affrontare, dove si ricerca disperatamente un aiuto dall’esterno attraverso vari canali. Io ho avuto e sentito fortemente la necessità che qualcuno mi spiegasse passo per passo perché mi sentivo cosi inadeguata nel mondo. Avevo il disperato bisogno che qualcuno mi facesse sentire viva e non abbandonata in questo senso di vuoto. Allo stesso tempo volevo impressionare gli altri per fargli capire quanto ero “forte” con magari un’immagine fortemente aggressiva, completamente lontana dal mio vero essere. Infatti sentivo una immensa paura sotto quell’aggressività.
Non riuscivo minimamente a capire la diversità del mondo perché io non ero qualcosa, io ero tutto. Mi sono stupita quando ho capito che si poteva pensare in modi così diversi e ognuno potesse avere la propria idea. Credevo che le persone fossero o buone o cattive, senza una via di mezzo. Non riuscivo a capire che quando sei arrabbiato vedi le cose in un modo ed è normale che sia diverso dal vederle quando sei in quiete. Non riuscivo a capire che noi non siamo quello che facciamo o diciamo, non siamo buoni o cattivi perché io mi sono sentita sempre sotto giudizio di me stessa e questo mi privava della libertà di essere qualcuno. Pensavo esistessero schemi predefiniti, rigidi e quando ho scoperto che il mondo è pieno di “dipende” mi sono sentita sollevata. Ho sempre avuto paura che la gente volesse farmi del male, che la gente fosse il male. Faccio ancora fatica a fidarmi, però ci sto lavorando, come con la fiducia in me stessa.
Com’è stato il processo di consapevolezza? È stata lei ad accorgersi che qualcosa non andava? Ha chiesto aiuto? Le è stato dato?
Io mi sono sempre accorta che qualcosa non andava, fino da piccolina. Sentivo la rabbia in modo “troppo forte”, pensavo. Mi guardavo allo specchio e pensavo “chissà se da grande sarò pazza”. Ho sempre chiesto io aiuto perché i miei genitori sono stati piuttosto assenti, nel 2014, a Novembre ho contattato per la prima volta una dottoressa psichiatra per i DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare ndr). Soffro di attacchi di panico da quando ho 15 anni ma in quel momento non ero proprio in grado di chiedere aiuto, quindi li ho tenuti e basta, ho solo sentito una specialista che avevo visto due volte con mio papà ma poi non si è più indagato.
Sapevo di soffrire, ma non capivo perché. Mi sentivo triste, quando andavo a ballare pensavo “non vedo l’ora di tornare a casa e ammazzarmi”.
Ho contattato il San Raffaele nel 2014/15 perché nonostante soffrissi molto sapevo di non voler morire. Anche nel 2017 ho chiesto aiuto io per anoressia, dopo poco è arrivata mia mamma che viveva negli States. Nel complesso mi sono sempre occupata io della mia salute mentale se non negli ultimi anni quando proprio non potevo più stare sola.
Mi è stato dato aiuto da una dottoressa a cui sono molto grata. Mi ha fatto fare due ricoveri, uno mentre aspettavo di essere inserita nel GET (la diagnosi borderline è arrivata dopo). Con lei mi sono sentita una persona e non una paziente. Mi sono sentita aiutata anche dal GET dove, anche li, ho trovato persone che ti trattano come una persona e non un numero, mentre in altri centri questa cosa viene molto a mancare.
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